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I primi cenni della viticoltura nel Lazio risalgono al popolo etrusco, ma chi diede una spinta allo sviluppo dei vini del Lazio furono gli antichi romani.
Il vino era consumato dagli imperatori come dai legionari. Faceva parte del nutrimento giornaliero, con un luogo destinato per il consumo (le osterie) e con una divinità dedicata (Bacco).
Una curiosità: il nome Bacco proviene dall’appellativo che venne dato al dio greco Dionisio per la sua chiassosità. Deriva proprio da ciò la parola “baccano”.
La divinità romana proviene dalla Grecia come lo è la provenienza dell’insediamento della vite nella penisola. Fu successivamente esaltata dai romani che ne promossero la diffusione nel mondo.
I romani appresero tecniche anche da altri popoli, che tramandarono nelle colonie conquistate negli anni. Con la caduta dell’Impero Romano, molte tecniche vennero conservate e tramutate a ciò che troviamo oggi.
La presenza del papato nel territorio laziale favorì lo sviluppo del culto della vinificazione ed il consumo dei vini laziali.
Se la viticoltura in Sicilia è sinonimo di cultura e tradizione millenaria, i vini siciliani sono oggi prodotti di altissima qualità, apprezzati in tutto il mondo.
Si ritiene che la vite crescesse spontaneamente in Sicilia prima ancora della comparsa dell’uomo sulla Terra, come dimostrano i vinaccioli fossili ritrovati alle falde dell’Etna e nelle Isole Eolie, e che fin dal XII secolo a. C. il consumo di vino fosse diffuso presso gli Elimi ed altre popolazioni che abitavano la Sicilia durante l'età del Bronzo.
Con la colonizzazione fenicia, e soprattutto a partire dall’VIII secolo con la proliferazione di colonie greche lungo tutte le coste siciliane, la viticoltura conobbe un periodo di straordinaria diffusione in tutta l’isola.
I Greci introdussero la potatura, la selezione varietale e la coltura ad alberello, ed impiantarono diverse varietà portate direttamente dalla madrepatria. Tra di esse ricordiamo gli antenati dell'Inzolia, del Grecanico e del Catarratto, che ancora oggi sono le varietà a bacca bianca tra le più coltivate in Sicilia.
L’importanza della cultura della vite e del vino è testimoniata dalle ricche decorazioni sui vasi vinari, le coppe, i crateri ritrovati nelle diverse aree archeologiche di Selinunte, Agrigento, Siracusa, e addirittura da una moneta d’argento coniata a Naxos, nei pressi di Taormina, raffigurante da un lato la testa di Dioniso e dall’altro un grappolo d’uva.
Il vino da sempre è uno dei prodotti centrali della cultura toscana e, come si può facilmente comprendere, non soltanto per ciò che riguarda l’aspetto enogastronomico. La coltivazione della vitis vinifera, lo studio dei macchinari per ricavarne l’inebriante succo, la costruzione di luoghi adatti alla conservazione delle bottiglie e la costante ricerca dell’equilibrio del rapporto tra uomo e natura, hanno dettato e forgiato i ritmi, gli usi e i costumi di tutti i popoli che hanno vissuto nei secoli in Toscana.
Vini d’Etruria e la storia del vino
Tra le molte novità che i Greci classici introdussero in Italia (a partire dalla metà del VIII sec. a.C.), gli Etruschi apprezzarono enormemente la vitis vinifera, alla cui coltivazione si sarebbero poi dedicati assiduamente per tutto il secolo successivo, tanto che allo scadere dello stesso, l’importazione del vino greco in “Toscana” sarebbe divenuta un traffico di ragguardevole consistenza, tanto che le anfore vinarie etrusche sarebbero state oggetto di un’intensa commercializzazione lungo tutta la costa dell’occidente mediterraneo, fino alla Penisola Iberica.
Al contempo, in direzione del barbarico nord e dell’Europa continentale, i moderni archeologi si sono resi conto di poter datare e ricostruire l’espansione della cultura del vino, sulla base del ritrovamento delle brocche dal becco allungato dette Schanabelkanne, la cui esportazione dall’Etruria meridionale seguiva da presso quella della ricercata ambrosia tirrenica.
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